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La poesia di Matteo Fais è una disarmata e impudica resa alla realtà e al suo brulicare di possibilità, la sua voce è sferzata da una vitalità violenta, ma ferita, e da una volontà strabordante di giungere al cuore della vita, di assaporarla fino al disgusto.
Non c’è in Fais una presa di distanza morale dal suo tempo, come se a questo egli non appartenesse o vi si ponesse al di sopra, ma solo un incessante inseguire il presente (e l’amore) senza cercare di ricomporlo in un definitivo o superiore orizzonte di senso, accettandone i paradossi e le laceranti contraddizioni.Dalla prefazione di Valentino FossatiNon si può definire un’opera scritta a ridosso dell’esistenza, ma all’interno di essa, nelle sue viscere […] Matteo Fais è un poeta che si sporca, si infanga con la vita, mai distaccandosene, sempre guardandola in faccia. Non la affida ad un codice poetico trasfigurante, non cerca facili mediazioni. L’unico desiderio, semplicemente, disinteressatamente, è viverla, viverla prima ancora che conoscerla, nella meraviglia e nella nefandezza, e dire, alla fine, anche la fame di bellezza che non diminuisce (anzi) all’approssimarsi dell’oscurità: “L’ultimo giorno prima di cedere / e abbandonarmi all’inverno / mi sono seduto sulla riva / a rubare tutto il mare / che gli occhi di un uomo / possano portarsi via / in un mattino.”

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