Italian | 305 pages | PDF | Einaudi

«Mussolini è, prima di tutto, filosofo» scriveva nel 1932, nel decennale della «rivoluzione fascista», Ettore Romagnoli, il grecista ufficialmente piú rappresentativo dell’Italia tra le due guerre. In Germania, l’ebreo tedesco, poi esule a Oxford, Felix Jacoby apriva a Kiel il semestre estivo del 1933 ricordando che «nella storia universale Augusto è l’unica figura che si possa comparare con Adolf Hitler». Semplice fenomeno di opportunismo? Cosa aveva propiziato questo incontro tra un ambito di studi cosí tipicamente separato come l’antico, e le forme piú aggressive dell’ideologia reazionaria del nostro secolo? Questo libro si propone di contribuire a far luce sul fenomeno, evitando i toni agitatori della moralistica denunzia della «compromissione» della cultura col fascismo, ma risalendo alle origini della «usurpazione» moderna del mondo classico e dei suoi valori. Dall’esaltazione antitirannica dei giacobini al dibattito sulla schiavitù antica in Francia e negli Stati Uniti, tra abrogazionisti e i loro avversari; dall’esplosione sciovinistica del ’14 al fascismo e al nazismo, visti non solo nelle loro matrici ma anche nella reciproca loro tensione e contraddizione proprio nel campo degli studi classici. In conclusione, uno sguardo al riaffiorare di tematiche elitistiche o comunque antiegualitarie nell’antichistica postbellica in Occidente.

 

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