Giorgia Genatiempo – Sessantasei gradini (2025)

Mi chiamo Diletta.
Fra tre giorni compirò quarantatré anni e il gioco finirà.
Non ho genitori, figli e neppure amici.
Non ho un amore.
Non ho un lavoro.
Non ho passioni a cui dedicare il mio tempo.
Fiori, tv, musica, cani, gatti o criceti non rientrano nella mia realtà quotidiana.
La gente normale crede che io non abbia niente e nessuno che mi aiuti ad arrivare a sera.
Per me è l’unico modo di arrivarci illesa.

Diletta vive sola, rinchiusa in una stanza da diciotto anni. Per propria scelta, si concede non più di sei parole e venti passi nell’arco di una giornata. È la sua strategia di sopravvivenza, un modo per difendersi da tutto e tutti. La reclusione è la soluzione che ha scelto per affrontare un disagio profondo, seguendo le regole di un gioco stabilite da bambina.

“Facciamo che oggi possiamo dire solo pochissime parole e muoverci, quasi per niente.”

Quel proposito lo concretizzò il giorno del suo venticinquesimo compleanno, mettendo a punto tattiche ossessive che le permisero di mantenere un fragile equilibrio che, però, ora sta per spezzarsi: una serie di eventi irromperanno nel nulla in cui sopravvive, assumendo connotati catastrofici.
Ora, però, il gioco sta per finire. Solo tre giorni, e Diletta dovrà scendere i sessantasei gradini che la separano dal mondo reale.

Sessantaquattro.
Sessantacinque.
Sessantasei.